Italian castagnole with hazelnut and Cointreau

by Rebecca
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“Non vediamo le cose per come sono ma per come siamo.” ― Anaïs Nin

Ho un piccolo album di fotografie 10×13 nel quale custodisco scatti di quando ero piccola. Ogni tanto lo guardo e ripenso a tutti quei momenti che, tranne in 2 perché avevo 1 anno, ricordo perfettamente.

Ricordo le sensazioni, gli odori, le consistenze, le emozioni. Ad ogni scatto si ripropongono come fossero appena accadute. Guardo gli occhi immensi di quella piccola bimba e spesso mi salgono le lacrime e mi batte forte il cuore fino a farmi male. La guardo ed oltre le sue lunghe ciglia intravedo mondi che ora ho perso di vista, intravedo gioie e felicità che ora sembrano lontane. La vedo circondata dalle uniche persone che davvero hanno contato tutto in questa vita. Che hanno guidato i suoi primi passi, accolto le sue risa, sostenuto il suo corpo quando era fragile. Che le hanno asciugato le lacrime e tenuto i demoni fuori dalla porta, che le hanno insegnato l’importanza di Amare.
Manca sempre qualcuno in quei scatti. Non c’è mai. Ma non ho nulla da rimproverargli, perché la sua assenza mi ha insegnato l’importanza di essere amata.
In quelle foto c’è il mio adorato nonnino materno che ci ha lasciati prematuramente nel lontano 1986 a soli 56 anni. La mia adorata nonnina materna che è mancata 14 anni fa in un grave incidente che l’ha vista vittima e la mia immensa mammina, che mi sopporta e supporta ogni giorno.
Un nodo mi prende la gola, mentre sento il freddo di quel lungo fine settimana nel quale eravamo in campagna a festeggiare il matrimonio di uno dei nipoti di mio nonno. Aveva piovuto, c’era il fango fino alle caviglia, i tavoli erano allestiti fuori, in questa fanghiglia. Ma nessuno se ne curava, perché ai romeni basta avere cibo in tavola e un buon bicchiere di vino e sanno fare festa anche in una casa che va a fuoco, figurarsi in un po’ di fango.
(Se ci fosse ipoteticamente un Titanic che affonda, sarebbero gli ultimi lasciare la nave, perché prima bisogna festeggiare. Ogni cosa è un rituale apotropaico atto ad allontanare la morte. Uno sfottò.)
Ricordo che era previsto il taglio rituale del maiale, animale che a quei tempi veniva regalato agli sposi il giorno delle nozze, insieme ad altre cose, quale simbolo di abbondanza. Ma ricordo anche quel maialino che è scappato a gambe levate e ha fatto correre non pochi uomini. Si è rivelata alla fine una sorte di primordiale lotta nel fango, fin tanto che non hanno raggiunto il loro scopo.
Ricordo la sposa, ricordo la madre dello sposo. Ricordo la felicità di mio nonno, ricordo il viso dolce di mia madre immortalato anche nello scatto e ricordo il portamento di mia nonna, che non si perdeva mai d’animo, altèra ma solo all’apparenza, poiché invero lei era la gentilezza e la dolcezza fatta persona.
Ho avuto donne generose nella mia famiglia, ma due di loro mi hanno insegnato tutto quello che oggi so e tutto quello che oggi sono diventata lo devo a loro. Tutto l’amore di cui sono capace.
Guardo la foto con mia madre, quando eravamo in villeggiatura a Brasov e sento sulla pelle i caldi raggi del sole. Ricordo quando ha mobilitato mezza montagna perché mi aveva persa ed era spaventatissima, mentre io ero fortemente emozionata di essere a quota duemila. Mi sono fatta al di sotto della teleferica mille metri di dislivello come uno stambecco, in poco meno di 40 minuti, veloce, nei prati verdi nemmeno fossi un raro esemplare di Heidi Carpatica.
Io avevo perso la cognizione del tempo e lei anche. Ciò che per me è stato meno di un’ora per lei è stata un’eternità. Ma quando mi ha vista mi ha abbracciata con le lacrime agli occhi e mi ha stretta forte, così tanto che quelle braccia intorno a me le sento ancora, perfino quando scende il buio.
Guardo le foto e le vedo non per quello che sono, ma per come sono io. Per come le ho vissute, per come ho sperimentato quel determinato momento. Per l’impronta profonda che hanno lasciato nel mio cuore.
Guardo quelle foto e mi emoziono. Nodo in gola, lacrime negli occhi, cuore immenso che si spalanca per accogliere ogni emozione. Guardo quelle foto e mi rendo conto che nel mio essere statica, nel mio detestare i cambiamenti, ho avuto una vita immensa fino a questo momento.
Una vita piena di amore, di avventure, di emozioni, una vita piena di quelle pienezze che merita avere. Perché spesso ci perdiamo a desiderare frivolezze ed inutilità quando in verità abbiamo già tutto, tutto quello che ai fini di questo viaggio è essenziale.
Sicuramente le castagnole di oggi non sono essenziali per il viaggio e tanto meno per la mia dieta, ma Carnevale è una volta l’anno e l’eccezione per un fritto di tanto in tanto, vale la pena, soprattutto quando si tratta di addolcire i nostri giorni e quelli degli altri.
Lo sapete che, anche se ho un forte attaccamento alle tradizioni, alle radici, ogni tanto mi piace rivisitare le cose che conosco.
Le castagnole in Romania non le abbiamo tradizionalmente, che io sappia. Abbiamo le gogoşi (gogosci), le fritelle tonde, morbide e profumate, che nonna preparava nella versione con impasto morbido da prendere a cucchiaiate e tuffare nell’olio bollente, oppure nella versione più ‘compatta’ che si può lavorare e alla quale si può dare una forma precisa, un po’ come accade per le graffe napoletane.
Ma veniamo alle castagnole, alle quali ho voluto dare il profumo della nocciole e del Cointreau.
Ecco di cosa avete bisogno…

 
Ingredienti: 300gr di farina 00*, 100 gr di farina di nocciole, 15 g di lievito per dolci, 3 uova grandi intere (circa 220 gr in totale), 80 gr di burro morbido bavarese, 110 gr di zucchero semolato + il necessario per coprire le castagnole, un bicchierino di Cointreau, 1 cucchiaino di estratto di vaniglia, un pizzico di sale, olio per friggere q.b.
 
In una terrina capiente, mettete tutti gli ingredienti secchi e mescolateli con la forchetta affinché le diverse farine possano amalgamarsi tra loro. Create una fontana al centro e aggiungete le uova, il burro, il liquore e l’estratto di vaniglia. Lavorate le uova con la forchetta ed iniziate ad incorporare la farina un po’ alla volta. Rovesciate il tutto su una spianatoia e finite di lavorare l’impasto a mano, fin quando non avrete ottenuto un panetto liscio e compatto. L’impasto deve essere morbido, leggermente unto, ma non deve rimanere incollato alle mani.
Coprite l’impasto con della pellicola e lasciate riposare per 5 minuti, dopo di che, dividete l’impasto in 4 parti ed iniziate a lavorare ogni parte formando un salsicciotto del diametro di 2 centimetri circa. Disponete i salsicciotti uno accanto all’altro, senza incollarli e tagliate l’impasto a pezzetti di 2 centimetri. In questo modo vi assicurerete di avere le castagnole all’incirca della stessa dimensione. Ora con ogni pezzetto formate una pallina. Quando avrete finito, coprite con un panno la spianatoia dove ci sono le palline di impasto e mettete sul fuoco un pentolino con abbondante olio. Portate a temperatura, circa 175°C, a fuoco moderato. Per assicurarvi che l’olio sia sufficientemente caldo, immergete uno stuzzicadenti nell’olio. Se fa le bollicine intorno, l’olio è pronto.
Immergete da 5 a 7 castagnole per volte nell’olio caldo e friggetele ruotandole costantemente con l’aiuto di un cucchiaio in modo che cuociano in modo uniforme e non si deformino.
Una volta dorate, toglietele con il mestolo forato e mettetele sulla carta assorbente, velocemente. Trasferite in una terrina e coprite con lo zucchero semolato.
Procedete in questo modo fin quando non avrete finito l’impasto.
*Io ho usato la farina senza glutine Bene sì marchio coop per motivi che vi avevo spiegato la scorsa ricetta. Contiene latte in polvere e mi piace il profumo e la consistenza che conferisce ai dolci, ma consapevole che non si trovi ovunque, potete usare tranquillamente la farina oo o altra farina senza glutine.

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7 comments

Debora 24 Febbraio 2017 - 14:42

“Life is what you make it…”
E tu con le tue parole, i tuoi scatti, le tue ricette, ne stai facendo una bellissima storia, piena di emozione e luce. Ora però visto che me ne hai dato il consenso, vengo e mi rubo una ciotola delle tue bellissime castagnole!! 😉

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Rebecka 24 Febbraio 2017 - 19:04

Una storia che spero sia ricca, da lasciare a mia figlia, perché possa vantarsene un giorno con i figli e i nipoti, perché possa trovarvi rifugio felice quando la vita adulta assesta qualche colpo.
Ruba tranquilla, che le rifaccio prima di martedì 😀
Un bacio grande Deb Vivian (quanto mi piace dirlo, Vivian…)

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Ely 24 Febbraio 2017 - 17:10

I ricordi…. Che belle emozioni che ti fanno provare, forti, delicate, dolorose ma così vive che anche dopo anni ti sembra di essere li con le persone che ami e che magari non ci sono più, i ricordi per me sono il cibo del nostro cuore perchè è da li che nascono ed è li che tornano…
Io non ho una grande tradizione carnevalesca, mia mamma faceva l’unico dolce che era capace di fare, i “paradei” ovvero delle semplicissime frittelle di mele ma quest’anno mi piacerebbe cambiare 🙂 Le tue sono perfettissime mia cara!!!! Devono essere una bontà! Baci

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Rebecka 24 Febbraio 2017 - 19:08

Hai proprio ragione cara Ely, i ricordi alimentano la nostra anima, il nostro cuore. Fungono da balsamo quando necessario.
Ti dirò che nemmeno io ho una grande tradizione carnevalesca. Me la sto facendo poco a poco da me, per alimentare la gioia della piccola di casa. Abitiamo in Emilia, con un marito pugliese che in quanto a tradizione carnevalesca ne ha da vendere tra carteddate e purcidduzzi. Ogni tanto mischio per bene il tutto, per la gioia di chi mangia.
Un abbraccio grande grande…

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Francesca 26 Febbraio 2017 - 23:35

Sai che ti ascolterei per ore raccontare certi ricordi di famiglia, non ho mai sentito la tua voce ma so che sa narrare, con il giusto tono, quello che appassiona e coinvolge chi è accanto… vedo tua figlia e vedo il tuo viso, quindi ti immagino come lei, da bambina… e le vecchie foto mi fanno lo stesso effetto, un tuffo nel passato così potente… e quando fisso i miei 4 nonni, che non ci sono più, beh, mi chiedo chissà cosa mi direbbero oggi, cosa penserebbero di me, di quella nipotina timida che fissava tutto con gli occhi spalancati, ora donna in cerca della sua pace…
Dalle foto del passato alle tue, a queste che sono splendide, l’ultima poi emoziona, è speciale… ed è merito tuo, fatina delle castagnole!

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Tatiana 3 Marzo 2017 - 10:55

Un post dolcissimo, ricco di ricordi che toccano le corde dell’anima e ancora una volta mi sembra di sedere tra di voi godendo di quelle belle feste in famiglia, dal tocco un po’ paesano perché solo chi regala un maiale sa cosa significhi vivere con gusto (le tradizioni della mia vicinissima Slovenia me lo insegnano ogni giorno)… mi mancano le castagnole perché non le ho mai fatte, in casa mia una volta all’anno si friggono i crostoli per tutto il vicinato, quindi quando arriva il turno delle frìtole (le castagnole nostrane) solo l’idea di friggere ti fa venir meno la voglia 🙂
Lo sai che le tue sono proprio bellissime? Perfette, rotondissime e di un colore meraviglioso…
Un bacio!

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Lara 29 Marzo 2017 - 21:50

Che racconto splendido e meraviglioso . Pieno di amore Beck. Mi manca così tanto mia nonna quando leggo queste cose meravigliose… bellissimi scatti e amo le castagnole

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